Femminismo in pillole. Anno 1975: il ’68 delle donne

La vacanza femminista a Carloforte e la nascita della Libreria delle Donne di Via Dogana. Una scheda informativa: per chi non può averne memoria, per questione di età e per chi la memoria sembra averla persa o mai coltivata.

Il 1975, nonostante la gravità di quanto avveniva attorno –crisi economica, licenziamenti, scioperi, scontri tra militanti di opposte fazioni, sortita dei Nap e delle Brigate rosse- rappresenta per il femminismo un anno di particolare rilievo. Furono i giornali stessi a riconoscere che “non si era mai visto nulla di simile dalle grandi manifestazioni per il voto alle donne”. Qualcuno si azzardò a scrivere: “E’ il ’68 delle donne”.

L’anno era cominciato in febbraio con il convegno al Circolo de Amicis, che aveva messo al centro i temi della sessualità, maternità, aborto e omosessualità. La relazione tra donne si approfondisce. All’interno del collettivo di via Cherubini sorge l’esigenza di concretizzare materialmente, e non solo enunciare teoricamente, una pratica di vita comune. Dopo tanti gruppi di parola, si fa avanti il desiderio di un “fare insieme”, una progettualità che implicasse anche il denaro e il lavoro. Se ne discute nel documento “I luoghi e i tempi”.

Questa aspirazione è portata avanti in particolare dal gruppo di donne che, fin dall’autunno 1974, avevano deciso di costituirsi in cooperativa per aprire a Milano una libreria sul modello della Librerie des Femmes di Parigi. Il gruppo comincia a cercare fondi, alcune pittrici offrono i loro quadri, altre l’assistenza gratuita per le pratiche legali. Dal Comune otterranno l’affitto di un locale nel centro cittadino, in via Dogana.

I primi libri arrivano dai magazzini delle case editrici. La conduzione viene affidata a turno alle donne che ne fanno parte, per non fare divisioni del lavoro. Alla base dell’iniziativa c’è l’idea di “dare un luogo alla parola delle donne”, farne una specie di vetrina del movimento.La Libreria apre nell’ottobre 1975 e diventerà nel corso degli anni un riferimento culturale e politico per tutte.

L’altro progetto, di cui si discute in via Cherubini, è la “casa delle donne”, un luogo più spazioso dove far confluire pratiche politiche diverse, ma anche dover poter mangiare insieme, fare feste. Il desiderio è di sperimentare in uno spazio adeguato modalità di diverse del vivere tra donne. La nuova sede sarà in via Col di Lana 8, dove ci si trasferisce agli inizi del 1976. Intanto sono avvenuti altri fatti importanti: il passaggio dall’autocoscienza alla pratica dell’inconscio.

Il documento “Pratica dell’inconscio e movimento delle donne”, pubblicato sul n.18-19 della rivista “L’erba voglio”, porta il femminismo milanese al centro dell’attenzione nazionale e della stampa. Diventerà l’argomento principale di due convegni: uno in primavera a San Vincenzo, sulla costa toscana, l’altro a Pinarella di Cervia in novembre (uno precedente c’era stato negli stessi giorni, l’anno prima). Nell’estate, nei mesi di luglio e agosto, donne provenienti da varie città italiane invadono l’isola di San Pietro (Carloforte) per quella che resterà una memorabile vacanza femminista.

L’idea era nata in occasione di un mio viaggio in Sardegna, invitata a tenere un incontro all’Università di Cagliari, insieme ad altre studiose femministe. E’ lì che ho sentito parlare della bellezza dell’isola e della possibilità di andarvi in vacanza –mi dissero- “con alcune amiche”. Nel pieno del movimento, “alcune amiche”, una volta sparsa voce, diventarono duecento. Fu un’esperienza destinata a lasciare un segno, fatta di bagni, sole, ma anche assemblee, discussioni animate e balli, cene, una quotidianità insolita. Un giovane assessore di sinistra lo definì “un trauma benefico”. Con mia grande meraviglia, non ci fu nessun segno di intolleranza e tanto meno di violenza da parte della popolazione locale. Per me, cresciuta in campagna, fu la scoperta del mare, di un luogo di elezione, dove torno da allora ogni estate e di cui sono diventata da poco, per grande amore e fedeltà, “cittadina onoraria”. Della vacanza di Carloforte si discuterà in un convegno a Firenze in settembre.

Nello stesso mese cala sul movimento l’ombra della violenza, coi fatti del Circeo. E’ il 30 settembre: da quel momento, la violenza contro le donne - stupri e omicidi - diventa tema di riflessione, di interventi sui giornali, apertura del dibattito sulla legge che avrebbe dovuto trasformare lo stupro da “reato contro la morale” a “reato contro la persona. Sull’interpretazione che si diede allora del massacro del Circeo in chiave antifascista, intervenne anche il collettivo di via Cherubini con una lettera al “Manifesto” in cui si precisava che il grave episodio di violenza carnale era diventato un “fatto politico” solo per la provenienza sociale degli assassini, figli della borghesia romana, mentre “la violenza della donna è di per sé un fatto politico". A fine novembre, dopo il secondo convegno nazionale a Pinarella di Cervia, parte del femminismo milanese contesterà il convegno organizzato dallo psicanalista Armando Verdiglione, per essersi appropriato delle tematiche del corpo, della sessualità, e averle spostate dai movimenti e dai protagonisti reali, alle cattedre e agli accademici. Ne risentirà anche il mio rapporto con Elvio Fachinelli e con la rivista “L’erba voglio".

Negli anni che seguirono anche in Col di Lana - dove si tenevano affollatissime assemblee di duecento e più persone - cominciano a farsi sentire spinte al cambiamento. A segnare un termine a quello che era stato fino ad allora un percorso comune, pur tra diversità e conflitti, fu il terzo convegno nazionale a Paestum nel dicembre 1976.L’analisi portata sulla sessualità parve poter essere riconosciuta come prioritaria da tutte, anche quelle che fino allora avevano privilegiato gli aspetti economici e sociali della questione del sessi. A quel punto, si chiedeva di farla diventare politica a tutti gli effetti, con una leadership, una ideologia, un’organizzazione. Era la contraddizione massima. Le femministe milanesi arrivarono a Paestum con un numero speciale di “Sottosopra” noto, per il colore, come “Sottosopra rosa”. Gli scritti che vi comparivano facevano già riferimento alla differenziazione che era avvenuta all’interno tra gruppi e pratiche diverse. C’erano i gruppi di medicina delle donne, gruppi di fotografia, donne che volevano fare un Bar, e i due gruppi che segneranno negli anni ’80 la prima evidente divaricazione teorica e pratica all’interno del movimento: il Gruppo n.4, legato alla Libreria delle donne, che porterà alla elaborazione del “pensiero della differenza” e il gruppo “Sessualità e scrittura”, nato per iniziativa mia e di altre donne che si riconoscevano nel comune interesse per la scrittura. Fu uno dei più seguiti. La necessità di interrogare la scrittura - e quindi i linguaggi disciplinari, la produzione simbolica in generale- veniva dal fatto che la pratica più originale del femminismo - l’autocoscienza - sembrava che si potesse trasmettere solo “praticandola”, inadatta quindi a comunicare fuori dal piccolo gruppo.

La scrittura era consistita fino a quel momento o in documenti - spacciati per collettivi ma frutto invece di della elaborazione scritta di donne che avevano acquisito quella capacità fuori dal femminismo -, o racconti di storie individuali, interpretazioni del proprio sentire. Si voleva rompere con l’anonimato, ma anche col silenzio sulle differenze tra donne che scrivevano e quelle che non scrivevano. Eravamo consapevoli di “usare parole d’altri”, di aver “saccheggiato i cento ordini del discorso della cultura dell’uomo”. La riflessione sugli scritti che ognuna portava al gruppo permetteva di aprire la strada a saperi e linguaggi, forme del pensiero più vicini alle consapevolezze nuove portate in noi dall’autocoscienza. Dell'attività del gruppo verrà dato conto in un “fascicolo speciale”: A zig zag (1978). Alcune partecipanti al gruppo si ritroveranno nei “corsi 150 ore” delle donne, in particolare quello che si aprì in via Gabbro 6, in zona Affori Comasina, il primo richiesto espressamente da un gruppo di donne, casalinghe, in cui mi trovai a insegnare nel 1976, dopo il trasferimento da Melegnano.

Verso la fine degli anni ’70 cominciano a comparire i primi Centri di documentazione delle donne, per impedire che andasse perduto il patrimonio di idee e pratiche del decennio. A Milano si aprirà nel 1979 il Centro studi storici sul Movimento di liberazione della donna, presso la Fondazione Feltrinelli in via Romagnosi 3, con l’intento di raccogliere documenti e testimonianze, organizzare seminari e incontri a livello nazionale e internazionale. Sarà il Centro a curare la prima importante storia del femminismo a Milano e in Lombardia: il libro, Dal movimento femminista al femminismo diffuso, edito da Franco Angeli, esce nel 1985. Foto d'epoca. Lea è con Lia Cigarini, Silvia Motta, Grazia Zerman e Adriana Monti in secondo piano.